Una breve storia delle ricerche in Valcamonica (parte 1)

di Alberto Marretta

'In un campo che si incontra prima di giungere alla Pieve [si notano] due grossi trovanti con sculture e graffiti simili a quelli famosi del Lago delle Meraviglie nelle Alpi Marittime...' (Walther Laeng, 1914)

La fase storica: 1929-1956

I primi ritrovamenti

Il primo accenno ufficiale alla presenza di incisioni rupestri in Valcamonica risale al 1909 quando Walther (successivamente Gualtiero) Laeng, poco più che ventenne, segnala con una lettera al Comitato Nazionale per la Protezione dei Monumenti la presenza di due massi istoriati al Pian delle Greppe nei pressi di Cemmo. Lo stesso Laeng nel 1914 scrive una brevissima nota sui due monumenti nella prima edizione della Guida d'Italia a cura del Touring Club Italiano, ma la scoperta non sembra destare particolare interesse fra gli studiosi italiani.

I Massi vengono separatamente frequentati negli anni '20 soltanto da Giuseppe Bonafini, insegnante di Cividate Camuno e poi negli anni '50 sindaco dello stesso comune (studioso di romanità e di epigrafia protostorica Bonafini fu per molti anni anche ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica), e da Senofonte Squinabol, geologo dell'Università di Torino imparentato con l'influente famiglia cemmese dei Murachelli.

Intuita la potenziale antichità delle figure incise, quest'ultimo accompagna ai Massi nel 1929 l'antropologo torinese Giovanni Marro, amico e collega presso il medesimo ateneo torinese. Marro era già personaggio piuttosto affermato. Negli anni precedenti era stato al seguito della Missione Italiana in Egitto condotta da Ernesto Schiaparelli e aveva appena fondato l'Istituto di Antropologia di Torino, ove i suoi eclettici interessi in campo psicologico, etnografico e archeologico trovarono in seguito il luogo ideale di sviluppo e diffusione.

Una strana coincidenza vuole che quasi contemporaneamente Gualtiero Laeng, improvvisamente memore dei massi incisi da lui stesso segnalati quindici anni prima, inviti ad esaminare le incisioni di Cemmo il dott. Paolo Graziosi dell'Università di Firenze. Marro e Graziosi operano quindi l'uno all'oscuro dell'altro, effettuando schizzi e frottage su carta, presentando comunicazione della scoperta in sessioni diverse del medesimo convegno e non avvedendosi del secondo masso, vicinissimo ma completamente nascosto da cespugli e detriti.

Paolo Graziosi si dedicherà poi ad altri studi (arte rupestre del Sahara libico, arte paleolitica, ecc.), divenendo nel Dopoguerra, con la fondazione dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, uno dei più influenti e stimati studiosi di preistoria in Italia.

Le scoperte si susseguono...

Nel 1930 la notizia viene dunque diffusa nel mondo accademico italiano ed europeo. Marro torna poco dopo in Valcamonica dove individua, pulisce e pubblica anche il Secondo Masso di Cemmo. Anche la Soprintendenza Archeologica entra a questo punto in campo e si attiva per la protezione dei monumenti. Durante la permanenza presso Cemmo per sovrintendere alla costruzione dei ripari lignei atti a proteggere i Massi l'assistente sig. Nicolussi, avuta quasi certamente indicazione da gente del posto, si reca in località Giàdeghe (parte dell'attuale Pià d'Ort, dunque piuttosto lontano dal Pian delle Greppe), e scopre le prime incisioni su superficie.

Anche Marro viene messo al corrente della scoperta e di lì a poco individua il sito di Jàl dei Betinèi (ancora parte dell'attuale Pià d'Ort) mentre la Soprintendenza mette in luce le prime rocce di Seradina, poco oltre la Pieve di San Siro. Ipotizzando la possibile presenza nella zona di numerosi altri petròglifi, grazie anche alle private segnalazioni dell'amico Squinabol, all'aiuto di guide locali e all'entusiastico sostegno dall'entourage fascista, allora capitanato a livello locale dal podestà di Capo di Ponte cav. Murachelli, Marro inizia un'instancabile lavoro di ricerca che lo porterà ad individuare quasi tutti gli attuali siti con arte rupestre della media Valle, a partire soprattutto da quelli del versante orientale. Nomi quali Naquane, Zurla, Foppe di Nadro, Scale di Cimbergo, Scale di Paspardo compaiono negli scritti di Marro fin dai primissimi anni '30.

Pubblicazioni e tensioni

Nello stesso periodo svolge ricerche sulle neo-scoperte incisioni rupestri della Valcamonica anche l'archeologo Raffaello Battaglia, quest'ultimo però in forma 'ufficiale' e per conto della Soprintendenza Archeologica di Padova, allora responsabile anche dell'ambito archeologico camuno.

Marro e Battaglia, spesso in conflitto su questioni teoriche o di paternità della scoperta (questione che diventerà un "classico" delle ricerche in Valcamonica), cominciano a pubblicare numerose fotografie e studi e gettano le basi dei futuri metodi di studio, istituendo confronti con altre manifestazioni simili, come l'arte rupestre del Monte Bego o quella scandinava, e suggerendo alcune somiglianze iconografiche con le produzioni artistiche italiche del I millennio, in primis quella degli Etruschi.

Tedeschi in Valcamonica negli anni '30

Mentre i due studiosi proseguono le loro esplorazioni (ma la prima ondata di scoperte e di interesse tende a smorzarsi già verso il 1934-35, quando ormai Battaglia avrà deciso di non dedicarsi più alla Valcamonica e gli studi di Marro perderanno progressivamente originalità e vigore), le notizie della scoperta d'arte rupestre in questa vallata alpina cominciano a destare sempre più interesse anche all'estero.

Intuite le opportunità offerte dal nuovo 'complesso petroglifico' per la ricostruzione di taluni aspetti fondamentali della preistoria e della protostoria centro-europea, alcuni ricercatori tedeschi si recano in Valcamonica con l'intento di studiare anch'essi il complesso artistico camuno. Negli anni 1935-1937 Franz Altheim, allora docente all'Università di Halle (poi Berlino), e la sua assistente Erika Trautmann visitano ripetutamente la zona di Capo di Ponte sotto gli auspici sia finanziari che soprattutto ideologici del gerarca nazista Heinrich Himmler, ed in articoli successivi pubblicano molte incisioni camune allora sconosciute.

La scientificità delle loro ricerche, pur importanti per la segnalazione di alcune notevoli scene e figure, è purtroppo minata dalla smisurata ideologizzazione che spinge in quel periodo molti studiosi della Germania nazista a compiacere le mire propagandistiche del regime reinterpretando le fonti preistoriche alla luce di una supposta superiorità dei popoli indo-germanici.

Dal canto suo Marro, decisamente avverso a questa 'invasione' del proprio territorio da parte tedesca, non tarderà ad intraprendere anch'egli con decisione la strada del razzismo di Stato voluto dal regime fascista (1938) e a creare in questo modo da se stesso le premesse per il futuro oblìo della sua pur faticosa e in parte meritevole opera.

Per la prima volta l'arte rupestre camuna manifesta tutta la sua ambiguità e testimonia la facilità con cui documenti del genere possono essere strumentalizzati e resi portavoce dei propri mal celati interessi.

Il primo Dopoguerra: Gualtiero Laeng ed Emanuele Süss

Dopo il vuoto e il disorientamento seguito ai traumi della Seconda Guerra Mondiale, Laeng ricominciò a tutti gli effetti le ricerche con l'aiuto di alcuni assistenti, tra cui Emanuele Süss, Piefranco Blesio e Italo Zaina (tutti membri attivi del neonato Museo di Scienze Naturali di Brescia), e la guida del capontino Battista Maffessoli.

A questo gruppo si deve nel 1954 l'individuazione delle incisioni sulla collina di Luine (Darfo Boario Terme) e la compilazione della prima mappa delle incisioni rupestri della zona Naquane-Ronchi di Zir (1956), cioè delle 93 rocce che saranno comprese nel territorio del Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, istituito l'anno precedente dall'allora Soprintendente Archeologo della Lombardia Mario Mirabella Roberti. Lo stesso gruppo sarà anche promotore di una prima riflessione storica sulle ricerche fino ad allora compiute (Bonafini) e per la prima volta si farà carico della compilazione di una bibliografia sulle incisioni rupestri camune (Süss).

Nel frattempo sul fronte torinese un'allieva di Marro, Sabina Fumagalli, oltre a proseguire lo studio sulle figure di capanna, scopre e pubblica le incisioni di Sonico e decide di intraprendere una dura polemica con Laeng nel tentativo di riabilitare l'opera e la figura del maestro, dopo l'emarginazione seguita al passato fascista e alla scomparsa avvenuta nel 1952.

La scoperta dei primi menhir istoriati

Gli anni '50 vedono brevemente in Valcamonica ancora Raffaello Battaglia, richiamato dall'interesse per la scoperta dei primi monoliti istoriati a Borno (1954) e ad Ossimo (1955), che di lì a poco studierà e darà alle stampe, inaugurando anche in questa zona il proficuo filone di studio relativo alle statue-stele dell'età del Rame (numerosi saranno poi i ritrovamenti nell'altopiano di Ossimo-Borno e in altre zone della Valle).

Altri studiosi degli anni '50

Da ricordare inoltre in questi anni le ricerche di Piero Leonardi dell'Università di Ferrara, che nel 1950 individua le figure incise più vicine al letto del fiume Oglio (Seradina - Ponte di San Rocco) ed altre incisioni nella zona di Paspardo. Anche gli studiosi stranieri parteciparono alle nuove ricerche: ricordiamo Hercli Bertogg (Coira, Svizzera), Herbert Kuhn e E. Vogt (Germania), Peter Glob (Danimarca), che studiò le figure di aratura comparandole con quelle scandinave e del Monte Bego, Karl Keller-Tarnuzzer (Svizzera), che riprese le ricerche sulle 'palafitte', A. Fredsjo e S. Marstrander (Svezia), Raymond Christinger, noto soprattutto per le ricerche sul labirinto, ed infine Erika Trautmann, che aveva pubblicato vari studi con Altheim già negli anni '30.